Usare è un termine generico per dire l’utilizzo degli oggetti, degli strumenti, degli utensili di cui ogni umano fa uso e consumo: a volte abuso. Ma usare si rivolge, in modo improprio, anche alle persone. Accade quando non si trattano come l’altro che ti sta di fronte, ma come un oggetto inanimato di cui non c’importa chi sia, ma solo cosa valga e quanto “costi”. Vale, quindi, chi mostra al meglio ciò che ha e non ciò che è. I mezzi di comunicazione, soprattutto quelli che utilizzano l’immagine e la vista come “sensi” privilegiati, fanno la loro parte. Chi appare, più compare: così si diventa famosi su alcuni rotocalchi televisivi e non.
L’essere umano che diventa strumento usa e getta; non è, forse, violenza questa? Altroché se lo è! È un uso improprio di un tuo simile che diventa un mezzo per arrivare dall’altra parte del ponte.
Questa è una questione su cui dovremmo riflettere tutti. Perché tutti, in un modo o nell’altro, ne siamo responsabili. Perché a ciò c’è una soluzione: dall’altra parte del ponte, infatti, ci si può arrivare senza strumentalizzare nessuno. Magari facendo più fatica, ma senza abusare di un’umanità che necessita, invece, di grazia. L’altro, infatti, deve essere rispettato nella sua natura e nel suo valore di essere umano: non può diventare un oggetto di consumo asservito ai nostri fini.
Riflettere se siamo stati autori e/o vittime di questa violenza, necessita di domande precise (“Lo abbiamo fatto?”, ” Quando e quante volte?”, “Dove?”, “Con chi”?), a cui dobbiamo una risposta: ce lo dobbiamo in quanto individui portatori, portatrici di un pensiero/azione che, per operare grandi cambiamenti, necessita di onestà, quella che s’interroga a partire dal “piccolo”, a partire da sè.
Maria Giovanna Farina e Barbara Gaiardoni