Lo disse Nelson Mandela: l’educazione è un’arma potente responsabile di un cambiamento. E’ anche a doppio taglio: può essere usata, infatti, a favore o contro l’altro. Diventa oggetto di trasformazione solo se mirata al prendersi cura del soggetto: può essere confusa con l’assistenza se, periodicamente, non si (ri)definiscono quegli obiettivi limitati nell’arco di un tempo e di uno spazio preciso. Per esempio, un educatore non può educare 8 ore al giorno. Non solo! E’ difficile riesca a mantenere un’obiettività, se operante, per molti anni, nello stesso contesto.
Se l’educazione richiama al concetto del portare alla luce il “nascente”, l’educare si rivolge ad un’azione guidata, sì, da una formazione, ma anche da un desiderio di ricerca e di esperienza sul campo.
Un buon educatore fa del proprio mestiere un’arte, intesa non come dare sfoggio della propria creatività (indispensabile in educazione!!!), ma come capacità di dedizione e di servizio nei confronti del singolo e della comunità.
L’educazione non dovrebbe essere peculiarità, solo, del sociale. L’educazione dovrebbe abitare ovunque, soprattutto i piani alti. Proprio da qui, dalla stanza dei bottoni si dovrebbe ripartire, per fare dell’educare un ‘”arma” potente a favore del bene comune. Paradossalmente, dovrebbe partire dai”primi”, per arrivare agli “ultimi” già coccolati, checchè ne strombazzino i media, da chi Può e Sa tutto, oltre l’Umano.
Barbara Gaiardoni