“Cosa fai nella vita?”, mi si chiede. “La pedagogista”, rispondo. “Allora, lavori con i bambini?”.“Potrei, ma no! Mi occupo di educazione.”
L’educazione, nell’antichità, apparteneva al mondo dell’infanzia; il pedagogo, infatti, era colui che accompagnava il fanciullo nella propria crescita.
Oggi, invece, si parla di educazione permanente. Quindi, non solo i bambini, ma tutti siamo educabili!
La pedagogista non insegna! Non trasmette nozioni, ma analizza e progetta l’ intervento educativo che “tiri fuori” potenzialità già presenti nell’essere umano, di qualsiasi età, sesso e stato di salute.
La pedagogista progetta “cosa essere, cosa fare” rispetto a contesti in cui l’educazione è considerata motore di cambiamento. La famiglia, la scuola, il mondo del lavoro e i luoghi del tempo libero sono ambiti in cui opera.
La pedagogista non è una fatina: non ha la bacchetta magica! Non fornisce soluzioni take away, pronte da portare via. Si avvicina, piuttosto, al ruolo di una coach, un’ “allenatrice”: affianca l’individuo o gruppo, per trovare, assieme, una strada alternativa che stani una situazione diventata problematica. Proprio come accade nell’aneddoto citato nell’ “Istruzioni per rendersi infelici” di Paul Watzlawick; un ubriaco cerca, sotto a un lampione, la chiave smarrita. Il poliziotto, che assiste alla scena, decide di aiutarlo. Ma dopo un po’, visto che la ricerca non dà risultati positivi, l’agente chiede se fosse sicuro di averla perduta lì, sotto il lampione. E l’ubriaco risponde: “No, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio.”
Per dire che le alternative esistono sempre: l’importante è esserne consapevoli. Possono diventare, invece, risolutive se, oltre al diretto interessato che inevitabilmente dovrà mettersi in gioco, c’è chi, per “mestiere”, vi porrà attenzione e vi darà una mano, una spinta!
Barbara Gaiardoni