Il remigino, oggi, è un settembrino, ma quella del “C’è sempre una prima volta” accade anche ai bambini che frequentano, adesso, la prima elementare. E si sa: le novità portano con sè anche le sorprese; fra queste, la comparsa di episodi di rabbia in classe.
La rabbia è una risposta difensiva. Le modalità e i contesti in cui si manifesta sono fondamentali, per poter capire come e cosa fare.
La rabbia può dipendere da molti fattori; bypassando, per il momento, quelli provocati dalle relazioni nel contesto familiare e/o degli affetti (non dimentichiamo che i “piccoli” assorbono tutto ciò che accade in famiglia e dintorni), il bambino, a questa età, sta per affrontare una fase di passaggio molto delicata, rispetto al luogo in cui andrà ad apprendere.
Nella scuola dell’infanzia, il bambino viene educato al rispetto di tempi/spazi comuni e allo svolgimento di compiti adeguati a quella fascia d’età, nella scuola elementare anche, ma con contesti, figure, didattiche e metodologie differenti.
Gli spazi e i tempi della scuola elementare rispondono ad un ordine ben codificato, comunemente, condiviso: per esempio, la presenza e la posizione dei banchi e quella di una cattedra danno un assetto gerarchico all’ambiente. Il ruolo delle maestre, l’esecuzione di un programma serrato e l’assegnazione di compiti a cui deve necessariamente corrispondere un risultato da sottoporre a giudizio, allontanano dalla dimensione del gioco come strategia d’apprendimento. Aumentano il numero degli allievi che condividono uno stesso spazio, quindi, si diversificano le dinamiche relazionali sia tra compagni sia tra maestre/i e allievi.
L’alunno, quindi, viene catapultato in un un “mondo nuovo“: chi fatica ad adattarsi a questo nuovo stato di cose, potrebbe manifestare insofferenza. Quel senso di libertà misto al temperamento individuale (quello energico è più soggetto all'”effervescenza” emotiva) e ad una capacità differente d’appredimento possono, assieme alle condizioni suddette, trasformare questo fastidio in veri e propri episodi di ribellione.
Come e cosa fare?
- Prendere atto che l’episodio di rabbia non è un “capriccio”, ma è una risposta ben precisa a qualcosa che non va e/o che non c’è;
- Osservare e dare un senso a cosa non è andato, è il secondo passo: le cose non capitano a caso, quindi, ad un gesto corrisponde un prima, un durante e un dopo che va colto, rispetto al quale si richiede attenzione;
- “Contenere” il gesto con una risposta non coercitiva, ma comprensiva, lontana da ogni morale.
- Rispetto la strategia da utilizzare, è fondamentale che ve ne sia una coralmente adottata e condivisa in tutti gli ambiti educativi e affettivi del bambino: una buona comunicazione, per esempio, tra il contesto familiare e quello scolastico (da non sottovalutare quello sportivo, se frequentato!) aiuta molto ad affrontare il problema;
L’allievo che manifesta rabbia, dichiara una “sconfitta”: è necessaria una presenza che supporti e non che demonizzi. Al bando, quindi, le prediche!
La competizione, a questa età, si fa sempre più presente. Saper perdere fa parte del mettersi in gioco, è fondamentale farlo, educando il soggetto alla sconfitta, senza ferire nè se stessi nè gli altri.
Barbara Gaiardoni