I figli, si diceva, sono carne da cannone. Si faceva riferimento, non (solo) ai bambini soldato, ma a tutti coloro “impegnati” nei giochi di potere interni alle famiglie, nelle dinamiche di cause sociali e in quelle relazionali tra il maschile e femminile.
Sulla gravidanza, specie nel primo trimestre,convergono interessi contrastanti: prova ne sono le differenze e i punti di vista contrastanti, su come e cosa fare rispetto l’aborto e la protezione della maternità.
Solo per il fatto che la gravidanza è un’esperienza di “pancia” e/o di “testa”, porta in sé un’ambivalenza sulla quale è dura fare chiarezza.
Dare la vita mette in atto una serie di conflitti, che intervengono sia a livello personale sia a livello di coppia: fra questi, quello, per esempio, di desiderare la gravidanza e non il bambino oppure quello della procreazione di un “bambino immaginario” che riflette, ancor prima di essere nato, la proiezione di una progettualità genitoriale.
L’inizio di una gravidanza, inevitabilmente, scatena una tempesta emotiva in entrambe in partner. Passare dal ruolo di figlio a quello di madre/padre, richiama, infatti, a una nuova assunzione di responsabilità. Anche la comprensione del gioco di identificazioni, da parte dei neo genitori nei confronti dei ruoli della famiglia di origine, richiede maturità e coraggio.
Fatto sta che la gravidanza, come del resto il bambino/a che verrà al mondo, è un atto creativo, dotato, quindi, sì di “autori”, ma destinato, per essere, alla condivisione e all’espansione.
Famosa è quella frase di Gibran: “Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima”.Così piace credere. Così, alla domanda iniziale, piace rispondere.
Barbara Gaiardoni